I disturbi psicosomatici e le somatizzazioni

DiDott. Marco Amendola

I disturbi psicosomatici e le somatizzazioni

Sin dall’antichità si è sempre saputo che sentimenti ed emozioni esercitassero un effetto sul corpo, ma sono stati necessari i progressi della medicina moderna per appurare l’esistenza di meccanismi attraverso i quali l’emozione può dare origine ad una malattia con caratteristiche e modalità di sviluppo proprie.

. Il termine “psicosomatico”(usato per la prima volta nel 1818 da Heinroth), fa riferimento ad una visione olistica dell’uomo, che può essere studiato in modo complementare sia dal punto di vista psicologico che fisiologico.

I disturbi psicosomatici (o somatoformi) sono caratterizzati dalla presenza di sintomi fisici che suggeriscono l’esistenza di un disturbo organico (da qui somatoforme), i cui sintomi però in realtà non sono giustificati né da una condizione medica generale, né dagli effetti diretti di una sostanza e né da un altro disturbo mentale: in pratica non esistono reperti organici che li possano dimostrare o meccanismi fisiologici noti che li possano spiegare, e per i quali esiste l’ipotesi, che siano legati a meccanismi e conflitti psicologici. Si tratta, in effetti, di conflitti dell’individuo, prima col mondo esterno e poi intrapsichici; tali conflitti possono provocare manifestazioni mentali o somatiche, oppure entrambe, in proporzione variabile. Solitamente l’insorgere di tali meccanismi viene attribuita a stress, ad ansia, paura o ad un forte disagio, che attivano ( talvolta in maniera smisurata, come se ci si trovasse sempre in situazioni di emergenza) il sistema nervoso autonomo, il quale a sua volta risponde con reazioni vegetative che causano problemi fisici. Queste risposte del sistema nervoso autonomo sono parte della reazione di controllo/fuga. A volte i sintomi somatici sono di tipo delirante:”Sto soffocando, non riesco a respirare. Tutte queste persone che mi respirano attorno, mi tolgono l’aria”.

I disturbi di somatizzazione possono comportare la compromissione di più apparati; possono presentarsi, quindi:

-disturbi dell’apparato gastrointestinale: quali nausea, meteorismo, vomito, diarrea, colite, ulcera, gastrite, intolleranza a cibi diversi;

-disturbi dell’apparato cardiocircolatorio: quali aritmia, ipertensione, tachicardia;

-disturbi dell’apparato urogenitale: quali dolori e/o irregolarità mestruali, disfunzioni dell’erezione e/o dell’eiaculazione, anorgasmia, enuresi;

-disturbi dell’apparato muscolare: quali cefalea, crampi, torcicollo, mialgia, artrite;

-disturbi della pelle:quali acne, psoriasi, dermatite, prurito, orticaria, secchezza cutanea e delle mucose, sudorazione eccessiva;

-disturbi pseudo-neurologici: quali sintomi da conversione come alterazioni della coordinazione e/o dell’equilibrio, paralisi o ipostenie localizzate, difficoltà a deglutire, afonia, cecità, sordità, diplopia, amnesie;

-disturbi del comportamento alimentare: quali anoressia, bulimia, binge eating.

Affinché si possa parlare di disturbo di somatizzazione, deve essere presente una storia di molteplici lamentele fisiche, cominciata prima dei 30 anni, che portano ad una continua ed estenuante ricerca di trattamento, e talvolta anche di continui interventi chirurgici, ad un punto tale da poter causare significative menomazioni nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre importanti aree della vita della persona. Devono inoltre essere soddisfatti i seguenti criteri:

-quattro sintomi dolorosi: una storia di dolore riferita ad almeno quattro localizzazioni o funzioni (ad esempio, dolore alla testa, all’addome, dolori mestruali, dolori nel rapporto sessuale o durante la minzione);

-due sintomi gastrointestinali: una storia di almeno due sintomi gastrointestinali in aggiunta al dolore;

-un sintomo sessuale: una storia di almeno un sintomo sessuale o riproduttivo in aggiunta al dolore;

-un sintomo pseudo-neurologico: una storia di almeno un sintomo o deficit che fa pensare ad una condizione neurologica non limitata al dolore.

Nel caso in cui ci fosse una condizione medica generale collegata ai sintomi, le lamentele fisiche o la menomazione sociale e lavorativa conseguente sono sproporzionate rispetto a quanto potremmo aspettarci dalla storia, dall’esame fisico o dai reperti di laboratorio. I sintomi però non sono prodotti in maniera intenzionale né sono simulati.

Tra i disturbi psicosomatici troviamo anche:

-il” Disturbo somatoforme indifferenziato”, caratterizzato da una o più lamentele fisiche( per esempio, stanchezza, perdita di appetito, problemi gastrointestinali o urinari), la cui durata è di almeno 6 mesi;

-il “Disturbo di conversione”,caratterizzato da uno o più sintomi o deficit riguardanti funzioni motorie volontarie o sensitive, che suggeriscono una condizione medica generale; si ritiene che qualche fattore psicologico sia associato col sintomo o col deficit, in quanto l’esordio o l’esacerbazione del sintomo o del deficit è preceduto da qualche conflitto o da un altro tipo di fattore stressante. E’possibile codificare il disturbo in base al tipo di sintomo o deficit presenti; per cui si distinguono: Disturbo di conversione con sintomi o deficit motori, Disturbo di conversione con attacchi epilettiformi o convulsioni, Disturbo di conversione con sintomi o deficit sensitivi ed infine Disturbo di conversione con sintomatologia mista, in cui, sono presenti sintomi di più categorie.

Dal punto di vista psicoanalitico, il “Disturbo di conversione”(che viene considerato la più drammatica delle condizioni somatoformi) viene spiegato come rappresentazione simbolica di un conflitto inconscio; ad esempio, un conflitto relativo al vedere qualcosa potrebbe essere espresso attraverso la cecità, o ancora, un impulso sessuale o aggressivo proibito potrebbe essere espresso attraverso una paralisi fisica. Tuttavia, i pazienti con sintomi di conversione mostrano una certa indifferenza verso i loro sintomi, una certa noncuranza emotiva rispetto alla gravità di condizioni disabilitanti, quali, appunto, la paralisi o la cecità. Non è chiaro però, se tale”indifferenza” sia dovuta all’incapacità di esprimere con parole le proprie esperienze affettive o ad una dissociazione post-traumatica di affetti che potrebbero essere espressi ma sono sentiti come troppo dolorosi per poterli integrare nell’esperienza complessiva della propria vita mentale.

Riprendendo il discorso sui Disturbi psicosomatici, abbiamo ancora:

– il “Disturbo algico”, caratterizzato dalla presenza di dolore in uno o più distretti somatici ed è di intensità tale da giustificare l’attenzione clinica; si ritiene che qualche fattore psicologico abbia un ruolo importante nell’esordio, nella gravità, esacerbazione e mantenimento del dolore. Anche in questo caso occorre specificare il tipo, e cioè “Disturbo algico associato a fattori psicologici”e “Disturbo algico associato a fattori psicologici e ad una condizione medica generale”; bisogna poi specificare se è acuto,con durata inferiore ai 6 mesi, o cronico,con durata superiore ai 6 mesi.

– l’ “Ipocondria” caratterizzata dalla preoccupazione di avere, o di poter avere, una malattia grave, basata sull’erronea ed indebita interpretazione dei sintomi somatici da parte del soggetto. Si tratta infatti di un sintomo, non di una malattia; tali sintomi possono essere espressi in vari modi: possono essere presenti dolori e disagio minimi che tengono comunque occupata l’attenzione del paziente, possono essere presenti paure irragionevoli circa la possibilità di sviluppare malattie gravi, sentendo così la necessità di prendere precauzioni eccessive, oppure ancora, segni benigni possono essere interpretati come dotati di un significato patologico. Queste espressioni di disagio possono manifestarsi in modo indipendente o insieme. I sintomi ipocondriaci sono molto comuni, specie in una società come la nostra , afflitta da nuove e sempre più numerose malattie, alcune delle quali ancora oggi incurabili, che spaventano le persone; tuttavia tali sintomi sono perlopiù transitori. Solo una piccola parte arriva all’attenzione e quindi alla valutazione medica, le quali però non bastano a rassicurare, a placare la preoccupazione del paziente. La durata del disturbo deve essere di almeno 6 mesi. La differenza tra l’ipocondria e il disturbo di somatizzazione, è che nel primo caso il paziente si preoccupa dei suoi sintomi, del loro significato e della possibilità di essere gravemente malato, mentre il paziente con disturbo di somatizzazione lamenta sintomi fisici multipli, diversi e ricorrenti in vari distretti corporei.

-il “Disturbo da dimorfismo corporeo”, caratterizzato dalla presenza di preoccupazione per un supposto difetto fisico: se è presente una piccola anomalia, l’importanza che la persona le dà è eccessiva.

-“Pseudociesi”: caratterizzato dalla falsa convinzione di essere incinta, associata a segni obiettivi di gravidanza, quali rigonfiamento addominale, flusso mestruale ridotto o amenorrea, sensazione soggettiva del movimento fetale, nausea, tensione e secrezione mammaria, doglie. Ad esempio, una donna di 45 anni era convinta di essere incinta. Aveva avuto alcuni mesi di amenorrea e lamentava nausea, fatica e tensione al seno. Esami ripetuti avevano portato ad una diagnosi di amenorrea da menopausa, ma lei rifiutava questa diagnosi e tornava ripetutamente dal medico. Voleva a tutti i costi “dare un nipotino a sua madre” prima che quest’ultima morisse.

Come già detto in precedenza, tutti i disturbi psicosomatici causano disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre importanti aree della vita della persona; non sono inoltre giustificate da una condizione medica generale, dall’uso di sostanze o da un altro disturbo mentale.

Il fatto che i pazienti che presentano disturbi psicosomatici siano spesso attratti da gruppi politici, di auto-aiuto o di sostegno, fa pensare che siano scettici verso la comunità scientifica, nel senso che non credono che i medici possano davvero prenderli in considerazione. E in effetti questa loro percezione è per certi versi corretta. Alcuni pazienti somatizzanti sembra che usino i sintomi fisici per mettersi in relazione con i medici, e spesso i medici giungono a questa conclusione quando si rendono conto che la risoluzione di uno di questi problemi è subito dopo accompagnata dalla comparsa di un altro. Invece, altri pazienti che presentano sintomi gravi e resistenti possono essere presi per persone che utilizzano la loro patologia solo per assicurarsi qualche forma di relazione, mentre invece il medico ha semplicemente sbagliato la diagnosi. In ogni caso, la sofferenza fisica del paziente viene spesso sminuita dal personale medico che si sente impotente, frustrato ed irritato per l’incapacità di curare questi pazienti e perfino di localizzare il problema; così, quando i pazienti con disturbi psicosomatici richiedono una psicoterapia spesso pensano che il terapeuta è un’altra figura che non li ascolterà, né si prenderà realmente cura di loro. Un elemento molto importante di cui bisogna tener conto nella valutazione della malattia psicosomatica, è il tornaconto secondario della malattia stessa: ci sono cioè pazienti che credono che l’unico modo per appagare il proprio bisogno di dipendenza sia quello di assumere il ruolo della persona malata…è questo il caso soprattutto di persone anziane, sole o insicure. Le motivazioni connesse al tornaconto secondario sono quasi sempre inconsce. Anche in questo caso, quando i medici non riescono a fare una diagnosi o non riescono ad aiutarli, questi pazienti vengono accusati di rimanere malati per ottenere un tornaconto secondario della loro condizione. E’per questo e per gli altri motivi su esposti che i pattern relazionali dei malati psicosomatici con i medici, in particolare, tendono a variare da una intensa, persistente e aggressiva ricerca di rassicurazione (destinata inevitabilmente al fallimento) a lontananza e inaccessibilità.

In definitiva, si può affermare che il soggetto psicosomatico presenta un’insufficienza, costituzionale o acquisita, dei processi di mentalizzazione, cioè di elaborazione psichica dell’emozione attraverso il pensiero, e un’accentuazione del pensiero operativo, sempre aderente alla realtà concreta e incapace di vita fantastica. L’incapacità di mentalizzazione può dipendere sia dal soggetto stesso che non l’ha maturata durante l’infanzia, sia dalla relazione con la madre.

Per concludere con una nota terapeutica, il trattamento di questi pazienti prevede una comprensione profonda della personalità del malato in situazione, per poter pianificare un intervento personalizzato ed eliminare, o quanto meno, indebolire i processi che sostengono il disturbo: infatti il modo più efficace per cambiare i sintomi è modificare i modelli che li sostengono. Sono stati messi a punto vari trattamenti, ma fondamentale, in ogni caso, risulta essere l’ “alleanza terapeutica” la cui essenza è rappresentata dalla motivazione del paziente a vincere la sua malattia, la sua infelicità e a collaborare con il terapeuta, seguendo le sue spiegazioni e le sue intuizioni. Nell’ipnoterapia il paziente viene ipnotizzato e vengono individuate ed esplorate le tematiche psicologiche con valore eziologico. La terapia comportamentale è efficace solo con alcuni pazienti. Secondo l’approccio sistemico relazionale, la terapia familiare consente di modificare non solo il soggetto, ma l’intero sistema funzionale della famiglia. Secondo l’approccio cognitivo, è di primaria importanza il cambiamento delle forme di conoscenza che sono alla base dei sintomi; a questo proposito è necessario individuare quali pensieri e significati siano dietro il sintomo, come sono mantenuti dall’ambiente di vita e come è possibile ottenere una loro riorganizzazione e un loro cambiamento: esempi comuni sono il management cognitivo dello stress, gli esercizi di training e tutto ciò che riguarda le tecniche di rilassamento.

BIBLIOGRAFIA

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-Kaplan Harold I., Sadock Benjamin J., Psichiatria Clinica, Torino Centro Scientifico Editore, 2003

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